Quando una coppia si separa, il tema economico non si limita solo ai rapporti tra ex coniugi, ma coinvolge anche i figli, specialmente se maggiorenni e non ancora autonomi. Comprendere chi ha l’obbligo di mantenere i figli adulti, fino a quale età e in quali condizioni, è essenziale per evitare conflitti e tutelare i diritti di tutte le parti coinvolte.

Mantenimento dei figli dopo il divorzio: cosa dice la legge

Nel contesto di una separazione o di un divorzio, la questione del mantenimento dei figli resta centrale, anche quando questi raggiungono la maggiore età. Secondo gli esperti di consulenzadivorzio.it, in Italia, non esiste un’età precisa dopo la quale il genitore smette automaticamente di essere obbligato al mantenimento.

Il mantenimento termina solo quando il figlio raggiunge la propria indipendenza economica. Anche dopo i 18 anni, può continuare a ricevere un contributo se sta completando un percorso di studi, affronta una formazione post-universitaria o si trova in una fase di transizione lavorativa. Tuttavia, questo diritto non è illimitato: il figlio deve dimostrare di impegnarsi attivamente per rendersi autonomo.

Fino a che età si mantiene un figlio adulto?

La legge non stabilisce un’età fissa, ma la giurisprudenza suggerisce soglie indicative. Superati i 30 anni, diventa difficile per un figlio giustificare l’assenza di un reddito. In casi particolari, come percorsi universitari complessi, il termine può estendersi fino ai 35 anni.

La Corte di Cassazione ha stabilito che il genitore può essere esonerato dall’obbligo se dimostra che il figlio, pur messo nelle condizioni di lavorare, non si è impegnato. Per esempio, se rifiuta offerte lavorative compatibili con il suo percorso o abbandona un impiego senza giustificazioni.

La responsabilità non ricade solo sul genitore: anche il figlio deve fare la sua parte, documentando l’impegno concreto nella ricerca di un lavoro, anche adattando le proprie aspirazioni alle reali opportunità. La recente ordinanza n. 24391/2024 ha ribadito che l’onere della prova spetta al figlio, soprattutto se ha superato una soglia d’età “ragionevole”, e deve dimostrare con rigore che la disoccupazione dipende da fattori esterni.

Quando il mantenimento può cessare davvero

La cessazione dell’assegno avviene quando il figlio ottiene un reddito stabile, anche se non derivante da un contratto a tempo indeterminato. Un lavoro part-time coerente con la formazione può bastare.

Spesso, smettere di vivere con i genitori è stato considerato dai giudici come segno di autonomia, soprattutto se accompagnato da un’attività lavorativa, come l’avvio di uno studio professionale.

Tra i casi già esaminati dai tribunali, ad esempio, una figlia di 28 anni, laureata da quattro anni, con un contratto a tempo parziale, è stata considerata economicamente indipendente. In un altro caso, il figlio che ha avviato un’attività in proprio ha visto revocarsi l’assegno perché ritenuto in grado di sostenersi.

Inoltre, se il figlio si trova in difficoltà per scelte personali — come il rifiuto di un impiego o l’abbandono volontario del lavoro — la revoca dell’assegno è considerata legittima.

Chi paga cosa e come si modifica l’assegno

Nelle coppie divorziate, è il genitore non convivente a versare l’assegno mensile per il figlio. Questo copre le spese ordinarie (cibo, alloggio, istruzione), mentre le spese straordinarie (sanitarie urgenti, corsi specialistici) sono generalmente divise in parti uguali.

L’ammontare dell’assegno tiene conto dello stile di vita che il figlio aveva quando viveva con entrambi i genitori. Può essere aggiornato in base a eventi significativi: variazioni nel reddito del genitore, nuove esigenze del figlio (come l’università in un’altra città), o la nascita di altri figli da nuove unioni.

I genitori possono anche modificare l’assegno consensualmente. Una scrittura privata ha valore contrattuale tra le parti, ma non è immediatamente esecutiva, a meno che non venga omologata da un giudice. In assenza di questa formalizzazione, la scrittura potrebbe non avere efficacia in caso di contenzioso e non permette un’azione diretta di recupero coattivo.

In sintesi, il mantenimento dei figli adulti non è illimitato. La legge tutela il diritto alla formazione, ma richiede anche un impegno attivo da parte dei figli nel costruire la propria autonomia.